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L’album del leader dei Rockets Fabrice Quagliotti

Su etichetta Intermezzo e a distanza di tre anni da “Parallel Worlds” arriva “Undo”, il nuovo album del progetto solista di Fabrice Pascal Quagliotti, leader e tastierista dei leggendari Rockets. Un lavoro che esplora le nuove scelte artistiche e nuove strade rispetto al passato. “Senza però rinnegarlo: mi sono sentito libero di lavorare senza paletti, mischiando analogico e digitale, tastiere vintage e plug-in”. In “Undo” c’è una serie di featuring con giovani artisti internazionali che cantano in inglese, francese e arabo. Anche il singolo che accompagna l’uscita dell’album, “No Sound”, interpretato da Shinobi, è il segno di un nuovo percorso.

Con il tempo ho imparato a non dare importanza a quello che mi passa per la testa, ciò che dico e canto è ciò che mi porto nel cuore”. Nel video è ricreata un’ambientazione a metà tra passato e futuro, tra rovine del passato e tecnologia avanzatissima e un robot che comunica attraverso uno schermo con lo stesso Quagliotti, circondato dai suoi strumenti, e Shinobi che canta. Il tutto quasi a cercare un contatto. Nonostante sia impegnato costantemente in tour con i Rockets, Quagliotti trova il tempo di rispondere alle nostre domande. E spiega perché l’album ha preso questa piega e assunto questo titolo.

“‘Undo’ è nato già prima di essere iniziato, in quanto, appena ultimato il primo lavoro, ‘Parallel Worlds’, avevo già deciso di fare il secondo. Si tratta di un progetto diverso da solito in quanto sono passato da un album di soli brani strumentali rivolto a un discorso di eventuali colonne sonore a un album… misto. Infatti. in ‘Undo’ ci sono quattro brani strumentali e sei brani cantati”.

Per questo hai scelto vari artisti di paesi diversi.

Per ‘All I Hear Is’ ho fatto cantare le strofe a una cantante londinese, Rosewhite, e i ritornelli a una cantante canadese Mary Dee: due voci diversi con una fusione perfetta. Ogni voce si plasma perfettamente per i tipi di suoni che ho usato. Nello stesso brano ho chiesto di collaborare con me un giovane dj, Axel Cooper, ormai diventato amico. Per ‘No Sound’ ho cercato una voce araba particolare; ho avuto la fortuna di trovare Dope Dilaz, in arte Shinobi, consigliatomi da un amico marocchino. Per ‘Recommencer’, visto che il testo era in francese, avevo bisogno di una voce fresca e ho trovato un ragazzo di 18 anni, Sofian Messadi, in arte Sow. Per le altre due canzoni ci ho pensato io. Un po’ di egocentrismo non fa mai male”.

Oggi sembra che artisticamente si sia detto tutto? La tecnologia ci può venire in soccorso?

Sicuramente è tutto un cerchio, una cosa ciclica. Si parte da un punto e si arriva all’altro con delle variazione sensibili. Ma dire che si è detto tutto… non è possibile dirlo. Per esempio, tra la fine anni ‘60 e l’inizio dei ‘70, il movimento hip-hop ci ha portato il rap, quindi qualcosa di nuovo. I Rockets stessi, di cui faccio parte, hanno creato un genere, lo space rock, ripreso poi dopo anni dai Daft Punk. Arriva sempre qualcuno che riesce a creare qualcosa di innovativo. Le note sono 12 e con queste il limite è inesistente. Penso che la tecnologia, almeno una piccola parte di essa, quella comunque più innovativa, riuscirà ad aiutare a creare delle nouvelle vague”.

Come farsi largo tra la concorrenza? Come può sopravvivere un artista in questo momento di sovrappopolazione nell’intrattenimento?

Non è facile, anzi è molto difficile. Credo che l’unica cosa da fare è quella di essere se stessi senza cercare di cavalcare le onde della moda. Un compito arduo e poco proficuo a livello economico, questo, ma se non hai conoscenze in alto, fortuna, genio e altro, bene, essere se stessi è la cosa migliore. Prima o poi il successo arriva, anche se non a livelli pazzeschi. Per sopravvivere, se sei un bravo musicista puoi guadagnare come turnista. Se hai dei progetti live, devi cercare di contattare più organizzatori, promoter e comuni possibili”.

È giusto sottolineare l’identità sonora, la riconoscibilità di un artista attraverso il suo suono?

Assolutamente sì. Personalmente, sono molto felice di leggere ogni tanto dei commenti del tipo ‘ascoltando determinati brani, riconosco il tuo stile, il tuo tocco e il tuo sound’. Per me questo sono i complimenti che mi fanno andare avanti”.

Quanto è importante il dettaglio nella musica?

Sono un pignolo della madonna. Sono attento a tutti gli aspetti del suono, dei missaggi, dei mastering. Michele Violante, che ormai mi sopporta da almeno sei anni, me lo fa notare spesso. Ma essendo lui stesso un… ‘rompino’ di prima categoria sul lavoro, per me diventa quasi un complimento. Comunque sì, i dettagli sono importanti in tutti mestieri, soprattutto nell’arte. Significa anche essere rispettoso verso gli altri, verso i tuoi fan, verso chi spende i soldi per ascoltarti, guardarti o leggerti”.

Pensi che l’intelligenza artificiale (e gli algoritmi) saranno deleteri per la produzione musicale o la supporteranno o addirittura la miglioreranno?

L’intelligenza artificiale la comprendo a livello tecnico quando va in aiuto di chi lavora. A livello compositivo, se hai bisogno di AI, in qualità di artista, non sei degno di chiamarti tale. Ci sono già in giro una miriade di pseudo artisti in circolazione che se ci aggiungiamo pure l’intelligenza artificiale siamo rovinati”.

La copertina dell’album

Come pensi che il settore della produzione musicale possa evolversi in relazione all’arrivo di nuove tecnologie?

La tecnologia vive da anni una costante evoluzione. Per me è un bene. Quanto all’evoluzione, prima di tutto conta quello che hai nella testa, le idee che ne escono. La tecnologia è già pazzesca in sé. Riesci a fare dei suoni incredibile. Riesci ad avere una potenza e pulizia del suono incredibile. Ma alla fine, quando vedo i device con i quali la gente ascolta la musica, allora mi cascano le palle e mi chiedo a cosa servono tutti i nostri sforzi”.

Dove ci si può realmente spingere, a livello musicale, in fatto di sperimentazione?

Credo nel mix tra culture ed etnie, facendo dei mash-up di estrazioni diverse a livello ritmico e sonoro. Nel mio piccolo, molto piccolo, ci provo. ‘No Sound’ ne è un esempio”.

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