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Il caso del dj set di Gigi D’Alessio

Effettivamente, Gigi D’Alessio non è nuovo a certi riposizionamenti. Lo ha fatto confidando in featuring con rapper, lo ha fatto scegliendo sempre più un look giovanile e lo ha fatto spingendo la sua musica sempre più verso suoni contemporanei. La chiamano brand reputation ed è quella strategia di marketing che permette a un artista, quando si tratta di intrattenimento, di ricollocarsi e rifarsi una vita a livello professionale. Quello che hanno organizzato al cantante presso il Club Partenopeo domenica 29 maggio 2022 è qualcosa di simile e che sconvolge quelli che si sentono davvero dei disc jockey. E che non crea alcun precedente.

Di vip che sono scesi dalla ribalta e saliti in consolle il mondo è pieno: tronisti, presentatori, modelle, pornostar, piloti, influencer, sportivi, attori, magnati della finanza, politici. Tutti. Più che spacciati e tramortiti, i dj sono ormai risucchiati in un mondo pressapochista e orizzontale sempre più vicino ai social e sempre più lontano dalla musica e dalle origini dei due piatti e un mixer. Tutti, anche il mio vicino di casa, che non sa palleggiare e non può fare il calciatore per zompare addosso alla veline, ambiscono a un posto privilegiato, come cerimonieri di notti infinite, tra opinion leader e personaggi pubblici. Un bel casino. Ora, che il dj set di Gigi, D’Alessio e non D’Agostino, sia stato un pesce d’aprile a scoppio ritardato oppure no, c’è da chiedersi a che pro? Si intuisce che il “libera tutti” che affligge il popolo diurno-notturno sia stato sdoganato e che la partecipazione della stella della musica napoletana non faccia così cronaca, tra offerta e domanda.

Quindi, la domanda è un’altra: perché? I club sono interessati a cosa? A fare cassetta va bene ma con che pratiche, con che metodi, con che scorciatoie? Nella discografia questo sport è in voga da anni grazie o per colpa del placement e dell’ego sconfinato: se c’è un featuring di Chiara Ferragni in un brano di Fedez tutti a gridare allo scandalo ma poi tutti a ballare il tormentone perché “massì”, “vabbè”, “volemose divertì”. Ma se sale un estraneo in consolle scoppia il finimondo. Per evitare di fare di tutta un’erba un fascio allora mettiamo da parte gli addetti ai lavori, la categoria, ossia i dj della vecchia guardia, che in fondo sì, sono loro, i più anziani, i più lesti a borbottare, perché i giovani sono abituati a tutto; e dell’altra il consumer, la clientela, quelli che vogliono dimenticare tutti questi mesi di merda. L’ago della bilancia cade alla parte del popolo e addio pretese e lamentele dei dj vetusti, quelli del “non sei un vero dj se non suoni coi vinili”. Pertanto? Pertanto prendiamoci il dj Gigi D’Alessio come ci siamo portati a casa la pandemia e la guerra in Ucraina. Ce la siamo meritata, ce la siamo cercata. Sborsare 37 euro per questo momento memorabile costa meno che andare a vedere i Pink Floyd. Jammo ja’.

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